D’Angelo, la canzone per Ciro Esposito sembra segnare una svolta nella sua carriera, per più d’uno motivo.
«Se è per questo, la morte di quel ragazzo ha segnato una svolta nella mia vita. E intendo soprattutto la mia vita di tifoso. Amo ancora il calcio, come potrei non farlo. Sono sempre felice se il Napoli vince. Ma oggi per me non è più una fede, quel giorno mi ha cambiato, quella passione mi ha tradito. Non posso essere tifoso di un gioco che crea la morte. Una partita non può essere più importante di una vita umana, e questo nella canzone lo dico chiaramente».

In quel brano la sua voce è accompagnata dalle tastiere di Battiato. Come nasce la collaborazione?
«In realtà avrei voluto fare con lui tutto il disco, ma non è stato possibile, lui è sempre in giro, ha tanti impegni…così abbiamo fatto solo “L’ultrà”. Ma l’intero lavoro sui due cd e sul dvd è stato fatto con molta passione, ogni parola, ogni nota è stata soppesata. Con Nuccio Tortora, mio arrangiatore e anche co-autore di alcuni brani, abbiamo passato in studio persino il Ferragosto».

Ma subito dopo “L’ultrà” viene “Sott’all’azzurro ‘e l’azzurro”, una gioiosa dichiarazione d’amore per il Napoli. Potrebbe essere il nuovo inno, dopo “Quel ragazzo della curva B”?
«In realtà quello non è mai stato l’inno ufficiale della squadra: diciamo che era ed è l’inno di chi il Napoli lo va a vedere allo stadio. E anche la nuova canzone, è vero, potrebbe diventarlo. Ma l’autore di “Quel ragazzo della curva B” era un ragazzo, il nuovo pezzo è stato scritto da un sessantenne, e credo si senta. L’ho messo subito dopo la canzone per Ciro per dare anche un segnale di vita, perché la vita deve andare avanti».

Tra i nuovi brani, ce ne sono altri che le stanno particolarmente a cuore?
«Tutti mi stanno a cuore, ma direi che “Sona e canta” ha un posto speciale. Parla delle difficoltà dei giovani, del fatto che spesso sono costretti ad andar via per trovare il loro posto nel mondo. Parla di questa “gioventù che non riposa”. E anche delle responsabilità di noi padri, di ciò che non abbiamo saputo fare per loro, stando per anni appresso a una politica che non ha portato a niente».

Il secondo cd del cofanetto contiene brani già noti e si intitola “I miei più grandi insuccessi”. Come mai questa scelta?
«I miei pezzi degli anni Ottanta li conoscono tutti, inutile riproporli. Il pubblico tende ad ascoltare le canzoni più orecchiabili e tante altre, magari più

belle, più sentite, gli possono sfuggire. Così ho voluto riprendere sedici brani già pubblicati dal 2000 in poi che per l’appunto non hanno avuto successo, ma che meritavano una seconda chance. Questo cofanetto potrebbe anche essere la mia ultima pubblicazione, chi lo sa. E non m’importa di venderne cento copie o un milione. Non è questo che conta. Tutto ciò che volevo era pensare, scrivere e cantare in napoletano. E l’ho sempre fatto».

di Antonio Tricomi

Fonte: napoli.repubblica.it